Alzheimer: diagnosi tardive
Assai frequente è invece la consulenza e successiva psicoterapia supportiva dei familiari di pazienti con Alzheimer. Di solito si tratta dei figli o delle mogli/mariti dei pazienti affetti da questa grave patologia degenerativa e progressiva. Queste persone giungono in terapia per poter essere supportate nella difficile decisione di portare il genitore o il partner nelle case di cura specializzate, spesso non accettano di non potersene occupare a casa, il senso di colpa le pervade. La persona che hanno a fianco non li riconosce più. In psicoterapia emerge spesso la negazione del problema (“Pensavo che per le feste magari posso portarlo a casa, poi se sta meglio potrebbe rimanere”), la difficoltà di elaborazione di un lutto (“Non è più la persona che era prima, mia madre non c’è più”).
Da alcuni racconti durante i colloqui emergono ricordi molto antecedenti alla diagnosi della malattia, inerenti i propri cari: dimenticanze, perdita di oggetti e comportamenti definiti “strani”.
Una figlia racconta:-“Già da un po’ di tempo notavo che la mamma dimenticava le cose, mi sembrava spesso confusa, ma sa pensavo un po’ di stanchezza e poi anche l’età”, una moglie:-“Mio marito non era più lo stesso, era uscito in auto e tornato a casa a piedi, siamo andati dal medico curante ma abbiamo perso troppo tempo prima di capire di cosa si trattasse”, un figlio:-“Ho portato mia madre in Pronto Soccorso perché diceva cose insensate, lo psichiatra l’ha poi dimessa con alcuni psicofarmaci dicendoci che era probabilmente causa di un forte stress a cui recentemente era stata sottoposta, poiché anche papà è gravemente malato, ma poi siccome non passava, accertamenti neurologici nei mesi successivi hanno dato l’esito di Alzheimer con esordio insidioso acuto”.
Da un recente articolo del Corriere della Sera risulta che spesso la diagnosi di Alzheimer ritarda di anni, i primi sintomi vengono minimizzati talvolta dalla famiglia e altre volte dal medico curante:-“La diagnosi tardiva è un dato di fatto-dice Claudio Mariani, ordinario di neurologia dell’Università Statale di Milano, responsabile dell’Unità operativa dell’Ospedale Sacco. La diagnosi spesso viene fatta presso le Unità di valutazione Alzheimer (UVA) quando ormai la demenza è conclamata e la malattia è in uno stadio avanzato. Talvolta non si ha nemmeno una diagnosi vera e propria. Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2011 si propone l’obbiettivo di una diagnosi “tempestiva”, sostenendo che farmaci e interventi psicologici possono migliorare cognitività, indipendenza e qualità della vita delle persone con demenza allo stadio iniziale, tutto ciò a beneficio del paziente e anche dei familiari di tali pazienti. Il Direttore dell’unità Operativa Alzheimer del Fatebenefratelli di Brescia annuncia nuovi esami obbiettivi che accanto all’osservazione clinica del paziente permettono una diagnosi sicura al 90-95% della malattia di Alzheimer in fase precoce. In ambito neuropsicologico estremamente preciso per identificare i primi sintomi è il test specifico per la memoria del francese B. Dubois.
L’articolo sopraccitato è di notevole interesse se pensiamo di poter migliorare la qualità di vita e tardare quindi le complicanze di tale malattia sia per i pazienti che ne vengono colpiti, sia per i familiari che se ne devono occupare.