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Home > Notizie > Depressione post-partum

Depressione post-partum

Negli studi di psicoterapia giungono donne gravide che improvvisamente si sentono come spente, tristi e non sanno darsene una ragione, era magari diverso tempo che provavano ad avere un figlio ed ora che sono in dolce attesa… il tono dell’umore è precipitato. Altre volte si tratta di neo mamme che dopo qualche mese dal parto non sopportano più notti insonni e pianti frequenti. Vorrebbero stare da sole, pensare solo al lavoro e delegare altri all’accudimento del neonato, poiché si sentono smarrite nella relazione con il piccolo; irritabili, provano pulsioni aggressive nei confronti del neonato e tutto ciò le spaventa. O ancora, incontriamo madri che si sentono inadeguate, infastidite dai mille consigli che ricevono quotidianamente da madri e suocere, si ritengono dei fallimenti. Si tratta spesso di donne ipersensibili, fragili e ipercritiche ricercano nel terapeuta delle conferme alle loro capacità materne.

 

Sembra che dopo il parto ci debba essere solo un’emozione gioiosa, senza spazio per l’elaborazione del lutto, la riorganizzazione della coppia, la nuova coppia simbiotica madre-figlio, la stanchezza psico-fisica, la ripresa lavorativa.
La nascita di un figlio è in realtà un evento molto delicato per la donna, caratterizzato sia da “una perdita” legata alla conclusione della gravidanza sia da “un’acquisizione” portata dalla nascita del figlio.
Essa comporta un intenso processo di riorganizzazione della personalità della donna. La neo mamma deve fare i conti con la perdita di una parte del sé che non potrà più essere recuperata (dell’identità di donna che precede la gravidanza) e la rielaborazione implicherà la formazione di un nuovo assetto mentale, che inizia già a configurarsi durante la gravidanza.

La donna subito dopo il parto si trova a dover cambiare la propria immagine corporea, passando dall’immagine di sé come gestante a quella di madre che si prende cura di un bambino piccolo e indifeso (Ferraro e Nunziante Cesaro, 1985). La modifica del sé precedente, l’eventuale mancata soddisfazione delle aspettative materne circa il sesso del bambino, la gelosia nei confronti del bambino che è al centro delle attenzioni di tutti, il senso di inadeguatezza per come si svolge realmente la cura del figlio rispetto a come l’aveva immaginata, sono tutti aspetti che possono contribuire a sviluppare sentimenti di tristezza e confusione.
Uno dei compiti fondamentali cui la donna deve far fronte è quindi quello di creare uno spazio interiore per il bambino e per la sua relazione con il figlio.

Dal punto di vista psicodinamico la gravidanza è un periodo in cui si riattivano i conflitti e i vissuti dell’infanzia e, secondo le modalità in cui sono state vissute ed elaborate le esperienze pre-edipiche di simbiosi con la madre e la successiva esperienza edipica, la donna plasmerà il suo nuovo vissuto di madre.
E’ molto importante il  modo in cui la donna in attesa del suo bambino si è rapportata e relazionata durante l’infanzia con la propria madre. La donna che si è identificata in maniera positiva con la propria madre presenterà minori conflitti nell’accettare il suo nuovo ruolo di madre rispetto alle altre donne che si sono identificate negativamente.

Vorrei portare l’esempio di una donna, che chiamerò Diana, la quale fin dalla tenera età è stata affidata ad un istituto. Diana ha avuto una vita assai difficile, caratterizzata da una totale assenza dei propri familiari e da abusi durante l’adolescenza da parte delle nuove figure di accudimento. Incontra la depressione qualche tempo dopo la convivenza con il compagno. Nessuna relazione riuscirà a colmare le enormi lacune affettive. Giunge da me in terapia durante la sua seconda gravidanza. Numerevoli sono le terapie che Diana aveva intrapreso e sospeso negli ultimi dieci anni. Il quadro di Diana è precipitato dopo la nascita della sua prima figlia: la fatica ad occuparsene, il forte senso di inadeguatezza trovano origine nella sua infanzia e nel suo percorso evolutivo, con l’impossibilità di identificarsi positivamente con una donna-madre. Diana riuscirà a portare a termine anche la seconda gravidanza con enorme fatica, con supporto farmacologico accanto ad un faticoso supporto terapeutico, costellato da sentimenti rinunciatari, impotenza e ideazioni suicidarie. Nel caso di Diana la gravidanza ha accentuato il bisogno di sostegno da parte della madre, una madre totalmente assente che Diana continua a ricercare vanamente dentro sé e  che ha peggiorato la sua condizione depressiva. La fantasia di sentirsi meno sola con delle creature di cui prendersi cura si è rivelata un’illusione; Diana per prima necessita di accudimento. La madre, ai fini dell’accudimento e della comprensione del bambino, sperimenta internamente un processo regressivo che la riporta in contatto con le emozioni della propria infanzia. Quando la donna sperimenta una buona relazione infantile a cui riferirsi nelle fasi importanti della sua vita, le consente di vivere adeguatamente l’esperienza della maternità, ma quando come nel caso di Diana, la regressione dovuta alla gravidanza e alla maternità è vissuta come un’esperienza dolorosa e difficile, accade spesso che si riattivino desideri infantili di fusione con la propria madre, ponendo a rischio l’acquisizione completa dell’identità e di un senso di autonomia personale.
Sarà dura per Diana mantenere viva una motivazione nel percorso terapeutico lungo e doloroso che la attende. Per fortuna storie simili non sono così frequenti e solitamente le depressioni post partum riescono ad avere buoni esiti in tempi più contenuti.

Contributi psicodinamici

Diversi sono gli autori che hanno dimostrato l’importanza dell’identificazione della donna con una “buona immagine”.
La letteratura psicodinamica ha fornito un’importante cornice di riferimento teorico-clinica allo studio del periodo della gravidanza e del post-partum. Già Freud aveva parlato di una fase pre-edipica femminile, caratterizzata da un legame simbiotico con la madre, da cui si origina il desiderio di ricevere o di dare un bambino; il desiderio della bambina di avere un figlio dal proprio padre nella fase edipica. A partire dall’opera di Freud e considerato il numero crescente di donne che si sottoponevano alla cura psicoanalitica, cominciarono ad aumentare le conoscenze sul significato inconscio che poteva rivestire l’idea di avere un figlio e di accudirlo. Tale desiderio fu considerato un momento evolutivo fondamentale per lo sviluppo di un’identità femminile stabile e matura.
La Deutsch (1957) ha definito “cordone ombelicale” psichico tra madre e figlio quel graduale processo elaborativo, nel quale si alternano vissuti depressivi causati da fantasmi di perdita e dalla delusione per fantasie non realizzate.
Erikson (1966)descrive una naturale tendenza a “creare uno spazio interno dove poter accogliere un figlio ed accudirlo”: la nascita di un figlio costituisce una delle crisi evolutive più importanti che si verificano nell’età adulta.
Ferraro e Nunziante Cesaro (1985) sostengono che la nascita di un figlio riattiva il complesso edipico e preedipico della donna riproponendo sentimenti di colpa irrisolti legati alle proprie esperienze infantili e considerano l’esperienza della maternità un “lavoro psichico” che si conclude con l’acquisizione di un nuovo equilibrio maturativo dell’identità femminile o può evolvere nell’esordio della depressione post-partum.

Fattori di rischio

Abbiamo già preso in considerazione come la riattivazione durante la gravidanza e nel periodo successivo al parto di sentimenti ambivalenti irrisolti della donna riguardanti il proprio rapporto con i genitori durante l’infanzia, l’eccessiva idealizzazione della gravidanza e i conflitti sulla propria identità femminile possono evolvere nella depressione post-partum. Accanto a ciò ci sono altri fattori di vulnerabilità che possono predisporre le donne alla depressione post-partum: la perdita della figura materna durante l’infanzia o la preadolescenza, la mancanza di una relazione intima coniugale, problemi economici, tre o più figli sotto i 14 anni. Inoltre, le donne che manifestano un disturbo depressivo dopo la nascita del bambino, che si protrae oltre i sei mesi, presentano una storia clinica di disturbi ansiosi e depressivi, cioè una predisposizione alla sofferenza depressiva antecedente alla gravidanza.
La gravità di episodi depressivi pregressi , accanto al livello di accudimento genitoriale ricevuto durante l’infanzia, risultano essere validi predittori dell’evoluzione del disturbo.

Sintomi

Veniamo ora a delineare la sintomatologia della depressione post-partum. Innanzitutto occorre fare una distinzione tra maternity blues e depressione post-partum.
La maternity blues è un lieve disturbo emozionale transitorio di cui soffrono più della metà delle donne occidentali nei giorni immediatamente successivi al parto. E’ associata alle modificazioni ormonali indotte dal post-partum. E’ caratterizzata da crisi di pianto, oscillazioni dell’umore e ipersensibilità, che si accentuano intorno al quinto giorno dopo il parto e tendono a durare alcune ore o alcuni giorni. Sette sono i sintomi principali: tendenza al pianto, stanchezza, ansia, ipersensibilità, labilità dell’umore, tristezza, confusione mentale e tende ad esaurirsi nelle prime due settimane di vita del bambino, con un progressivo miglioramento del tono dell’umore.
I sintomi che caratterizzano la depressione post-partum possono essere sentimenti di inadeguatezza, di incompetenza e di disperazione, collera, ipersensibilità, ansia, vergogna, odio e trascuratezza verso se stesse e verso il bambino, disturbi del sonno e dell’appetito, calo del desiderio sessuale e pensieri suicidari. Altri sintomi che sono stati riferiti da madri che presentano questo disturbo riguardano pensieri di carattere ossessivo relativi al bambino, paure immotivate e non legate alla situazione reale di far cadere e di fare del male al proprio figlio.

Le conseguenze

La depressione post partum, frequente nel 15-18% delle madri, rappresenta quindi un importante disturbo mentale, che può avere ripercussioni sull’interazione madre bambino e sul funzionamento mentale infantile. Nonostante la sua presenza fisica, la madre depressa non è emozionalmente disponibile per il suo bambino, tende ad essere inaccessibile all’interazione con lui. La depressione incide profondamente sul comportamento materno, limitando l’espressione emozionale e la qualità degli scambi relazionali. Gli esiti negativi sul bambino sembrano essere esacerbati dalle disregolazioni interattive madre depressa-bambino. A tal proposito uno studio (F.Monti e coll., 2006) ha messo in luce come le diadi madre depressa-bambino riportano in misura maggiore, rispetto alle diadi madre non depressa-bambino, segnali di distorsione relazionale, come difficoltà di alimentazione del bambino, difficoltà nel fargli il bagno, pianti eccessivi del bambino, inadeguatezza della madre nel tenerlo in braccio, relazione verbale madre-bambino insufficiente. Dallo studio emerge come le interazioni madre depressa-bambino siano maggiormente caratterizzate da scambi inadeguati dal punto di vista quantitativo, in termini di alterazioni nella frequenza, e dal punto di vista qualitativo, per la presenza di alterazioni nelle singole modalità interattive e di segni indicatori di difficoltà relazionali.

Bibliografia

Ammaniti M., Cimino S., Trentini C. (2007), Quando le madri non sono felici, Roma, Il pensiero scientifico ed
Deutsch H. (1957), Psicologia della donna adulta e madre. Studio Psicoanalitico, vol.2 Torino, Boringhieri ed.
Erikson E. (1966), Infanzia e società, Roma, Armando ed.
Ferraro F., Nunziante Cesaro A. (1985). Lo spazio cavo e il corpo saturato. La gravidanza come “agire” tra fusione e separazione. Milano, F.Angeli ed.
Monti F., Agostini F., Maran G. (dic. 2006), Depressione post-partum e interazioni madre-bambino a 3 mesi dopo il parto, in Psicologia clinica dello sviluppo.

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