PSICOLOGIA ANALITICA, C. G. Jung
L’evoluzione del pensiero di Carl Gustav Jung
Carl Gustav Jung nacque a Kesswil (Svizzera) il 26 luglio 1875. Figlio di un pastore protestante, conseguì la laurea in Medicina e nel 1900 iniziò la sua carriera di psichiatra, come assistente di Bleuler, presso l’ospedale psichiatrico di Zurigo. Nei primi del ‘900 Jung lesse gli scritti di Freud e da quel momento tra i due nacque un’amicizia destinata a sfociare successivamente in un conflitto aperto, in virtù di profonde divergenze teoriche che portarono ad una dolorosa separazione.
Jung, inizialmente vicino alle concezioni di Sigmund Freud, se ne allontanò definitivamente, nel 1913. Infatti, mentre per Freud la libido era intesa come “la forza psichica che rappresenta l’istinto sessuale”, per Jung, invece, tale nozione viene ampliata sino a designare l’energia psichica tout court (non soltanto di tipo sessuale) che si esprime essenzialmente come cupiditas o appetitus, ossia come un tendere verso. Per Jung, quindi, la libido va al di là di una semplice matrice istintuale proprio perché non è interpretabile solo in termini causali; egli la considerava come energia psichica suscettibile di assumere forme diverse, pulsionali e culturali, e di convertirsi dall’una all’altra grazie alla presenza di un particolare apparato di conversione dell’energia, la funzione simbolica.
Una volta staccatosi da Freud, Jung cominciò ad elaborare una nuova teoria, detta poi psicologia analitica, che si caratterizza per una maggiore apertura verso gli elementi non razionali della psiche.
L’aspetto centrale delle differenze teoriche tra la psicoanalisi freudiana e la psicologia analitica, oltre che nel diverso modo di concepire la libido, risiede anche in un differente modo di concepire l’Inconscio e il Simbolo. Jung intendeva il Simbolo come l’espressione di qualcosa che ci sfugge, che appartiene al nostro passato così come al nostro futuro, e che può promuovere lo sviluppo e la trasformazione verso la quale dobbiamo propendere. Il lento svolgersi di queste trasformazioni costituisce per Jung il processo di ‘individuazione’. Inoltre per Jung, la psicoanalisi di Freud era schematica e teneva poco conto della persona nel suo contesto vitale e delle sue relazioni sociali in quanto orientata prevalentemente agli aspetti intrapsichici individuali. Invece Jung, che dava importanza alla persona e al suo contesto, fondò la “psicologia analitica”, che voleva essere non solo uno strumento per guarire da patologie psichiche ed una concezione del mondo, ma uno strumento per adattare la propria anima alla vita e coglierne le potenzialità di espressione e specificità individuale. Egli chiamò questo percorso “individuazione”.
Il 1913 fu anche l’anno in cui Jung prese a dedicarsi interamente alle ricerche sulla natura dell’inconscio non solo attraverso l’esperienza clinica e il lavoro con i pazienti psicotici, ma in maniera diretta e personale attraverso l’esperienza della propria sofferenza psichica. Inoltre si dedicò esclusivamente alla professione privata di psicoanalista e incominciò ad attrarre attorno a sé un proprio gruppo di pazienti, studenti e analisti, che contribuirono a sviluppare ulteriormente una scuola analitica fondando lo “Psychologischer Club” di Zurigo (nato nel 1913 e ancora attivo).
Dopo la separazione da Freud, Jung ebbe quello che lui stesso definì “un periodo di incertezza interiore, anzi di disorientamento che lo impegnò sei durissimi anni nel corso dei quali entrò in contatto diretto e profondo con il suo inconscio.
Tutte le fantasie nate dal confronto diretto e doloroso di Jung con il suo “sottosuolo” vennero da lui annotate con scrupolo ed in seguito trascritte nel “Libro Rosso” che è stato pubblicato solo nel recente 2009, a ottant’anni dalla sua conclusione e a mezzo secolo dalla morte del suo autore. Jung non volle mai autorizzarne la pubblicazione, e dopo di lui anche i suoi eredi ne hanno per lungo tempo rispettato la volontà, per un comprensibile pudore e protezione della sua anima lì completamente messa a nudo. Immagini interiori cariche di una potenza che le rende allo stesso tempo guaritrici e pericolose e che nel Libro Rosso Jung cercò di oggettivizzare attraverso la scrittura, la pittura e la scultura.
In Jung, il confronto diretto con la propria malattia creativa, si tradusse, sul piano teorico nella distinzione tra inconscio personale ed inconscio collettivo, ma gettò anche le basi per una nuova relazionalità tra analista e analizzando, rivoluzionando il concetto stesso di psicoterapia definita come “un dialogo che richiede due interlocutori”.
Jung, persona di grande cultura, studiò a fondo i temi mitologici, letterari e religiosi di tutti i tempi e di tutti i paesi. Un’importante influenza, sui suoi studi e ricerche, ebbero i suoi viaggi all’estero: a partire dal 1920 visitò Africa, India, Nord America e Nuovo Messico. Durante il suo peregrinare entrò in contatto con numerose popolazioni di cui studiò miti, riti, usi e costumi; materiale prezioso che arricchì ulteriormente la sua ricerca e il suo approfondimento sulla natura della psiche. Psicoterapeuta dotato di una considerevole concretezza, osservatore acuto, uomo di straordinaria cultura e molteplici interessi, Jung si adoperò molto nella diffusione della psicologia analitica.
Il suo pensiero non conosce confini e spazia nei campi di antropologia, teologia, alchimia, mitologia, letteratura, arte, etc; ambiti che la psicologia dovrebbe conoscere per permettere una più approfondita conoscenza dell’animo umano.
Jung morì il 6 giugno 1961 a Küsnacth nella sua casa sul lago di Zurigo ove si era ritirato negli ultimi anni della sua vita.
I cardini del pensiero di Jung
Innumerevoli sono i contributi che Jung ha portato alla possibilità di comprendere la psiche umana: dalla teoria dei complessi a quella dei tipi psicologici (con conseguente relativizzazione del pensiero umano), dalla concettualizzazione dell’inconscio collettivo alla definizione di archetipo, al processo di individuazione.
Teoria dei complessi
Jung definisce il complesso come “l’insieme delle rappresentazioni che si riferiscono a un determinato avvenimento a tonalità affettiva” e che agisce in maniera autonoma all’interno della personalità; il complesso costituisce la base della nostra dimensione personale inconscia e l’origine è sovente un cosiddetto ‘trauma’, uno shock emotivo e simili, a causa del quale una parte della psiche si è distaccata.
Quindi un aspetto psicologico della persona poco coerente con l’abituale struttura psichica, riesce ad imporsi sulla coscienza e a organizzare il comportamento, sia con effetti positivi che negativi; ciò significa che il soggetto si comporta come se fosse posseduto da una personalità autonoma: il complesso.
Jung, quindi, immaginava i complessi come personalità autonome, come frammenti scissi della psiche, all’interno dei quali vi sono percezione, sentimento, volontà e intenzione. Essi non sono di natura morbosa, ma caratteristici e normali “fenomeni vitali della psiche.
La psiche umana è un insieme indeterminato ed indeterminabile di complessi, tra i quali lo stesso “Io”, il complesso che ha l’appannaggio della coscienza ed è in relazione con tutti gli altri.
Nel momento in cui questa relazione con l’Io s’indebolisce o si spezza, gli altri complessi si fanno autonomi, inconsci, e cominciano a dirigere l’azione, con un processo di dissociazione, origine del disagio psichico. Sul piano psicopatologico, la relazione, più o meno forte o duratura che i complessi in generale stabiliscono con il complesso dell’Io è responsabile dei vari stati nevrotici (reversibili) o psicotici (a reversibilità fortemente ridotta).
Scopo della psicoterapia è quindi non l’eliminazione delle personalità autonome, quanto la loro integrazione e l’assimilazione a livello cosciente; ristabilire e rafforzare il legame di quel complesso inconscio con l’Io cosciente del paziente.
Inconscio individuale, Inconscio collettivo
Oltre all’inconscio personale del singolo individuo, Jung è convinto esista anche un inconscio collettivo comune agli uomini di tutti i tempi. Questa fu una vera rivoluzione nel modo di intendere la psiche. Per Jung l’inconscio è complementare alla coscienza, ha un autonomo corso di sviluppo ed è sorgente di energie sane e di soluzioni creative. Secondo Jung l’inconscio e i suoi contenuti che sono principalmente “i complessi a tonalità affettiva”, costituiscono lo strato superficiale dell’inconscio. Esso poggia su uno strato più profondo e oscuro della psiche che non deriva da esperienze personali, è innato. Questo strato più profondo è il cosiddetto inconscio collettivo. Esso è universale ed ha contenuti che sono gli stessi in ogni luogo, tempo e cultura, è identico in tutti gli uomini e costituisce un substrato psichico comune di natura sovrapersonale.
Gli archetipi
Gli archetipi sono immagini universali presenti fin da tempi remoti, arcaiche, primordiali. Per Jung l’Archetipo è una realtà tra lo psichico e il somatico: da un lato ha radici nell’istinto, nella sfera organica, dall’altro presenta una dimensione spirituale. In quanto collegato all’istinto, l’archetipo è una predisposizione innata a determinate prestazioni psicologiche, in quanto collegato alla sfera spirituale, è una categoria a priori della coscienza, una dimensione trascendentale.
Secondo Jung l’inconscio collettivo rappresenta una funzione adattativa della psiche umana di fronte ad angosce profonde che minaccerebbero di disintegrare il senso di integrità e coesione degli individui. Così, i popoli che sono riusciti a elaborare l’esperienza dolorosa della morte attraverso il mito dell’immortalità dell’anima, riescono collettivamente a superare la paura della morte e della separazione e quindi a sopravvivere. Tale mito è infatti rintracciabile in quasi tutte le culture.
Nell’individuo gli archetipi si presentano come involontarie manifestazioni di processi inconsci. Non è possibile entrare in rapporto diretto con l’archetipo, ma si possono percepire i suoi effetti, come immagini simboliche, in ogni genere di manifestazione psichica: sogni, sintomi nevrotici, visioni, arte, fantasia, prodotti dell’immaginazione libera, oltre che nei miti, nelle fiabe e nella religione.
Gli archetipi principali
La Persona
Persona è il termine latino con cui si designava originariamente la maschera indossata dall’attore nel teatro antico. Jung la definisce come “un segmento dell’inconscio collettivo”. E’ la maschera che l’individuo porta per rispondere alle esigenze delle convenzioni sociali. E’ la funzione assegnatagli dalla società, cioè il compito che essa attende da lui. Il rischio sempre presente è che l’Io si identifichi con la Persona portando il soggetto ad appiattirsi completamente nel ruolo e, in definitiva, nel pensiero collettivo. In tal modo si perde l’elasticità e la duttilità psicologica che costituisce la grandiosità dell’uomo; tutti gli aspetti che non sono compatibili con la Persona vanno “in ombra”, causando un grave depauperamento della struttura psichica.
L’ombra
Con questo concetto Jung vuole designare quella parte inconscia della personalità che è caratterizzata da tratti e comportamenti che l’Io cosciente tenta di ignorare o di rimuovere in quanto sono soggettivamente penosi per cui generano colpa, vergogna, impotenza, vissuti persecutori e di autosvalutazione. Lo stato naturale dell’Ombra è di essere rimossa dalla coscienza; fin tanto che rimane inconscia l’Ombra è potente, autonoma, carica di affettività distruttiva e ha il potere di disorientare l’Io e destrutturare la Persona. Per conoscere realmente chi si è, quindi, e non identificarsi con la Persona, è necessario riconoscere che in sé esiste anche l’Ombra e che tutta l’oscurità che noi riconosciamo intorno a noi, in realtà, vive innanzitutto dentro di noi. L’Ombra è portatrice del “potenziale individuale”, è parte viva e vivificatrice della personalità; rappresenta l’origine del nuovo, in quanto è ad essa che appartiene la creatività: è solo attraverso la sua integrazione che si giunge al Sé, fino al momento in cui non viene elaborata e riconosciuta non si potrà procedere lungo il percorso d’individuazione.
Anima/Animus
Per affrontare il tema della relazione tra maschile e femminile, sia a livello interpersonale che a livello intrapsichico, Jung postula un’esistenza psichica che si presenta sempre in forma bipolare: Anima – Animus. L’Anima è l’immagine del femminile che ogni essere umano di sesso maschile ha interiorizzato, mentre l’Animus è l’immagine del maschile in ogni essere umano di sesso femminile. Generalmente inconsce, queste immagini si propongono di bilanciare la sessualità e la psiche dell’essere umano, integrando aspetti psichici “femminili” nell’uomo e “maschili” nella donna. La teoria junghiana, essendo basata sulla tensione degli opposti, considera fondamentale l’integrazione della propria dimensione controsessuale: l’uomo dovrà riuscire a integrare in sé il tipo di sensibilità di rapporto con il mondo tipicamente femminile (l’Eros dell’Anima), la donna dovrà conquistare una dimensione psicologica maschile (il Logos), con le sue pretese intellettuali. Solo così si può accedere ad una nuova modalità di rapporto, con se stessi, con gli altri e soprattutto con il partner.
Il Sé (Selbst)
Nella teoria della personalità di Jung il Sé è il punto centrale della personalità, intorno a cui si raggruppano tutti gli altri sistemi, esso li mantiene uniti e dà alla personalità l’equilibrio, la stabilità e l’unità. Il Sé è lo scopo della vita, un fine per cui l’uomo lotta costantemente ma che di rado riesce a raggiungere. Questo archetipo è un’autentica unione degli opposti: bene e male, maschile e femminile, vecchio e fanciullo, potenza e inermità, umano e divino e così via, sono le coppie archetipiche con cui ogni esistenza deve confrontarsi coscientemente.
Dal momento che il Sé è l’archetipo dell’unità e della totalità della psiche, l’Io non potrà mai integrarlo completamente nei confini limitati della sua coscienza; esso rimane necessariamente in parte incosciente poiché, appunto, racchiude anche l’inconscio. In quanto immagine della totalità, il Sé, presuppone l’integrazione e relazione degli opposti: conscio-inconscio, Animus-Anima, Persona-Ombra.
I tipi psicologici
Jung classifica gli individui secondo “tipologie psicologiche” che prendono le mosse dal carattere del loro adattamento Introverso/Estroverso”. Successivamente, Jung, per spiegare le rilevanti differenze individuali all’interno dei gruppi, incrocia l’iniziale modello bipolare con una ulteriore quadripartizione in “funzioni” psichiche distinte nelle due coppie: pensiero-sentimento (giudicanti o razionali), sensazione –intuizione (percettive o irrazionali). L’appartenenza ad uno dei quattro sottogruppi è determinata dal fatto che l’adattamento o l’orientamento dell’individuo si attua soprattutto mediante la funzione che in lui è più differenziata; funzione a cui l’individuo, a partire dall’infanzia, affida le sue principali speranze di riuscita. Questi furono definiti da Jung “tipi funzionali”.
Il tipo Estroverso ha un rapporto positivo con l’oggetto esterno, egli ne riconosce l’importanza tanto da orientare costantemente la sua impostazione soggettiva verso l’oggetto e in relazione ad esso. Nel tipo estroverso il soggetto ha un’importanza marginale; i processi soggettivi appaiono talora qualcosa di superfluo o dannoso rispetto agli avvenimenti oggettivi. Egli riesce ad adeguarsi alle circostanze, accetta i valori dominanti della società. La persona estroversa cerca l’approvazione altrui e tende a esprimere giudizi non troppo difformi da quelli del gruppo.
Il tipo Introverso è, invece, l’atteggiamento di chi conferisce un ruolo preponderante ai fattori soggettivi, svalutando la realtà esteriore. L’introverso ha come intento fondamentale quello di sottrarre costantemente la libido all’oggetto. Il tipo introverso cerca in ogni circostanza di dare all’io e ai processi psicologici soggettivi il predominio sugli oggetti e i processi oggettivi, o per lo meno, di affermarli di fronte all’oggetto, dando così più importanza al soggetto che all’oggetto.
Per quanto concerne i tipi funzionali, Jung distingue chi si orienta nel mondo usando il pensiero, il sentimento, la sensazione e l’intuizione. Per tutti i tipi vale il principio che essi posseggono, accanto alla funzione cosciente dominante, la più esercitata, una funzione ausiliare, meno sviluppata rispetto alla prima, ma più differenziata rispetto alle altre due inferiori, che operano nell’inconscio.
La tipologia di Jung comporta dunque otto tipi: il tipo pensiero estroverso, il tipo sentimentale estroverso, il tipo intuitivo estroverso, il tipo sensoriale estroverso, il tipo pensiero introverso, il tipo sentimentale introverso, il tipo intuitivo introverso, il tipo sensoriale introverso. La teoria dei tipi di Jung assume rilievo nel processo di individuazione, nel quale è necessario che l’Io sia consapevole dell’atteggiamento psicologico che si è reso dominante o esclusivo. Solo superando la propria unilaterale adesione ad un modo di rappresentare la realtà e aprendosi agli altri modi, l’individuo può affermare la sua autonomia da modelli collettivi accettati inconsapevolmente.
Il processo di Individuazione e l’autorealizzazione
Per Jung la personalità si modella sulla base di un patrimonio genetico ereditato e attraverso l’influenza di potenti condizionamenti ambientali. La realizzazione della personalità non è solo un processo di sviluppo, ma un processo di decondizionamento da tutto ciò che ci rende ben adattati e integrati¸ è un tendere all’unicità, alla propria soggettività.
Il processo di Individuazione, perno centrale della teoria junghiana, è la tensione che spinge l’uomo alla ricerca della propria identità. Corrisponde al naturale corso della vita in cui l’individuo diventa quello che da sempre era, un essere umano intero, inscindibile e differenziato dalla psiche collettiva conscia e inconscia: è un progressivo ampliamento della personalità. Secondo Jung ogni individuo ha una diposizione naturale, un potenziale originario da sviluppare nel processo di individuazione che conduce alla piena realizzazione del Sé. Il Sé rappresenta la totalità dell’individuo che include la dialettica tra la coscienza e l’inconscio. L’impossibilità o incapacità di effettuare tali trasformazioni, ossia di allargare e integrare progressivamente e coscientemente la sfera della personalità, interrompe il processo di individuazione, creando di conseguenza il disagio psicologico.
Al termine del processo di Individuazione, l’uomo non ha più come centro l’Io ma il Sé: non è più un individuo con aspetti di cui è consapevole e molte aree inconsce di cui non è consapevole ed agiscono a sua insaputa, ma è un individuo in cui tutte le sue parti, più superficiali, più profonde, ritenute positive o negative, sono presenti.